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Ecco il programma del cinema Trevi – Cineteca Nazionale da venerdì 13 a domenica 22 febbraio. Il prto irrise, l’Edipo capovolto. Nato nel Nord della Francia, terzo dei sette figli d’una famiglia di ricchi industriali d’origine alsaziana, educato in un collegio di Gesuiti e nel collegio di Carmelitani vicino a Fontainebleau evocato in Arrivederci ragazzi, obbligato nell’adolescenza a vivere isolato e protetto a causa d'una insufficienza cardiaca (Soffio al cuore), Malle è precoce: “Ho letto Gide a tredici anni”. A diciassette anni si iscrive all’Idhec, la scuola parigina di cinema (il suo film-diploma di cinque minuti mostra, come La mia cena con André, due persone in attesa di qualcuno che non arriva) e comincia presto a lavorare come assistente di Jacques Cousteau per Il mondo del silenzio. A venticinque anni dirige il suo primo film, Ascensore per il patibolo: è già sposato con Anne-Marie Deschodt, da cui divorzia per poi risposarla e infine separarsene; nel 1980 ha sposato Candice Bergen. […] “Non so cosa sia il cinema politico. Credo che i film d’autentica importanza politica non siano quelli militanti, il cui unico scopo è confermare una posizione già acquisita, una retorica già esistente, ma quelli che scuotono, che turbano, che obbligano alla riflessione”, afferma Louis Malle. Il regista lo diceva nel 1976. Diceva anche: “Io non credo alla democrazia, non ci ho mai creduto. È una parola che corrisponde a una realtà in cui la classe dominante può permettersi il lusso di dare l’impressione che sia il popolo a governare. Ma non è il popolo che governa, si sa benissimo…”» (Tornabuoni).

Ore 17.00 Il danno di Louis Malle (1992, 111’)
Stephen Fleming, un cinquantenne conservatore inglese, sottosegretario del Governo di sua Maestà ha una quieta e gradevole moglie (Ingrid), un figlio giornalista (Martyn) e una splendida casa. Il giorno in cui conosce Anna Barton, la giovane fidanzata del figlio, è immediatamente attratto da lei: è un delirio e una follia perché gli incontri amorosi con la donna si ripeteranno. «Poche volte si è vista riprodotta con tanta esattezza l’urgenza, la tenerezza, la ferocia di quel sentimento sempre così difficile da rappresentare che è l’amore fisico. Mentre resta volutamente ambiguo il senso della parabola» (Ferzetti).

Striplife: un giorno a Gaza

«Striplife è un film corale che racconta la striscia di Gaza. Nell’arco narrativo di una giornata, le storie dei personaggi si fondono alla descrizione del contesto ambientale. Uomini e donne che resistono, capaci di tenerezza e sorrisi, determinati a non soccombere a condizioni di vita che appaiono impossibili. Il film nasce da un progetto collettivo ed è stato realizzato da videomakers italiani e palestinesi, condividendo idee, storie, visioni e competenze tecniche. Non un film su Gaza, ma con Gaza» (dalle note di regia di Striplife).

Ore 19.00 Striplife - Gaza in a day di Nicola Grignani, Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa, Andrea Zambelli (2013, 60’)
Striscia di Gaza. Un evento inspiegabile è avvenuto durante la notte: decine di mante si sono arenate sulla spiaggia principale di Gaza City. Carretti di pescatori accorrono su tutta la Striscia per accaparrarsi pesce fresca. Intanto la città si sveglia. Antar sprona il fratello ad alzarsi, è il grande giorno, nel pomeriggio inciderà il suo primo disco. Noor si trucca, dovrà apparire davanti alle telecamere. Jabber è già nel campo. Gli spari dei fucili gli ricordano che vive nella zona cuscinetto che separa Gaza da Israele. Un corteo si snoda per le strade. Moemen è lì per fare il suo lavoro, il fotografo. Al porto una barca rientra con lo scafo trivellato dai proiettili. Il canto del muezzin invade lo spazio, moltiplicato dai minareti. Come in un sogno, i ragazzi del Parkour Team piroettano in un cimitero. La vita nella Striscia si snoda fino a notte. Distribuito da Lab 80 Film.
Per gentile concessione di Lab 80 Film - Ingresso gratuito

Fatti e strafatti

«Immagino tutti ricordiate Sabrina di Billy Wilder, un capolavoro irripetibile. Nel 1995 ne fu fatta una nuova versione firmata Sydney Pollack con Harrison Ford nella parte che fu di Bogart. Con tutto l’amore che nutro per Pollack, non riuscii a terminarne la visione. Uscii dal cinema con le paturnie chiedendomi che senso ha rifare una cosa che è perfetta. Sarà inesorabilmente una brutta copia. In scultura vi sono molte rappresentazioni della Pietà, ma nessuno ha mai pensato di rifare quella di Michelangelo, mentre nel cinema è normale che i film riusciti siano soggetti a periodici tagliandi dove si sostituiscono per intero i “pezzi”. Questa rassegna intende compiere una ricognizione nello “sfasciacarrozze” della settima arte rovistando tra i pezzi originali dei più acclamati modelli, quasi tutti “assemblati” durante l’era del Muto e, più che “rifatti”, successivamente “strafatti”. Diciamo che è una rassegna vagamente polemica, ma come sempre spinta dalla più appassionata e divertita curiosità. Buona visione e buon ascolto» (Antonio Coppola).

Ore 21.00 La passion de Jeanne d’Arc di Carl Theodor Dreyer (La passione di Giovanna d’Arco, 1928, 95’)
«Processo e morto sul rogo di Jeanne d’Arc (1412-31), giovane contadina lorenese, concentrati in una sola giornata (14 febbraio 1431): la Pulzella d’Orléans raccontata come vittima e martire, donna che soffre, opponendo intelligenza, umiltà e la sua solitudine ai giudici di Rouen. Uno dei capolavori del muto, e un vertice nella carriera del danese Dreyer che si serve del primo piano (quasi metà del film) per risolvere l’arduo problema del film storico: col primo piano compensa il tempo con lo spazio e riporta al presente lontani fatti storici: il volto umano come specchio dell’anima e del suo destino. Fondato sulla plasticità dell’inquadratura e sui valori ritmici del montaggio, è in un certo senso il capolavoro dell’espressionismo e, forse, l’unico film espressionista non contaminato da elementi letterari e teatrali. Splendido bianconero di Rudolf Maté» (Morandini).
Accompagnamento musicale del M° Antonio Coppola

martedì 17 febbraio
Omaggio a Francesco Rosi

Il 10 gennaio 2015 si è spento uno dei più grandi autori del cinema italiano, Francesco Rosi. A tal proposito ha scritto lo storico Gian Piero Brunetta: «Tra i registi del dopoguerra Rosi si inserisce in una grande linea – in cui si collocano […] anche Welles, Huston, Losey, Kubrick, Kurosawa – di autori per cui la vocazione realistica implica anche la capacità naturale di passaggio dal piano della realtà a quello del sogno, senza soluzioni di continuità. Fellini e Bergman fanno parte di un gruppo che si muove in direzione analoga, ma su percorsi paralleli. […] I film di Rosi non hanno mai una struttura in cui l’orizzonte si viene restringendo e per via di esclusioni venga improvvisamente imboccata la strada che porta alla rivelazione finale degli enigmi e alla risoluzione dei misteri. La scomposizione della linearità narrativa a favore di una forma che si potrebbe chiamare a grafo sparso fa sì che lo spettatore venga condotto lungo un percorso labirintico in cui sempre i processi di occultamento e cancellazione della verità prevalgono sulla rivelazione. A mano a mano che si avanza di fatto i nodi non si risolvono, né la verità si avvicina. Sia le cause che le soluzioni si raddoppiano, si scompongono in un gioco di specchi e rifrazioni, si dilatano ipertroficamente a ventaglio. I colpevoli non vengono scoperti, le zone d’ombra sembrano occupare uno spazio crescente nella nostra storia. Gli interrogativi senza risposta si moltiplicano. Che sia il contesto a interessare Rosi si capisce presto: la figura di Giuliano, ad esempio, non è soggetto drammatico dell’azione né viene mai ripresa direttamente. Lo si vede di profilo, di spalle, a distanza, in campo totale, se ne sente la voce fuori campo, ma il procedimento registico mira a illuminare cause ed effetti delle sue azioni».

Ore 17.00 Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (1962, 123’)
Subito dopo la liberazione della Sicilia Salvatore Giuliano, già fuorilegge per aver ucciso un carabiniere, costituisce una banda ed entra a far parte dell’esercito separatista. Quando l’esercito viene sciolto Giuliano torna a essere un bandito. «Bellissimo, intenso film; mai la Sicilia era stata rappresentata nel cinema con così preciso realismo, con così minuziosa attenzione. E ciò discendeva da un giusto giudizio – morale, ideologico, storico – sul caso Giuliano» (Sciascia). «Secondo me, nessun regista, mai, è riuscito a ricreare una realtà con tanta esattezza, con tanta potenza» (Soldati). Tre Nastri d’Argento: film (ex aequo con Le quattro giornate di Napoli), fotografia, musica. Restauro a cura della Cineteca di Bologna

ore 19.15 Incontro con Roberto Andò, Fabrizio Corallo, Raffaele La Capria, Stefano Rulli moderato da Emiliano Morreale

ore 21.00 Le mani sulla città di Francesco Rosi (1963, 100’) Nel centro di Napoli alla vigilia delle elezioni amministrative crolla un palazzo e alcune persone muoiono sotto le macerie. Scoppia uno scandalo e inizia un’indagine della magistratura, che coinvolge un noto imprenditore, Edoardo Nottola (Rod Steiger), candidato per un partito di destra. «È ammirevole che con delle storie di immobili, di battaglie elettorali e di discussioni al consiglio comunale, Rosi ci appassioni a questo punto. Si pensa a Preminger, al suo vigore, alla solidità dei suoi racconti, ma Le mani sulla città, più mosso, più serrato di Tempesta su Washington, emana anche più calore» (Jean-Louis Bory). Leone d’oro al Festival di Venezia.
Copia restaurata a cura della Cineteca Nazionale

18-22 febbraio
Massimo Girotti: cronaca di un attore

La Cineteca Nazionale rende omaggio a Massimo Girotti, in occasione della pubblicazione della prima monografia italiana a lui dedicata. «Quella di Massimo Girotti è una carriera lunghissima fatta di traguardi passati spesso inosservati. Per capirne la misura bisogna partire dal suo temperamento di uomo schivo e riservato, non alla ricerca di facili successi ma bisognoso di rafforzare una propria solidità umana e affettiva. Discosto dal cliché dell’artista “genio e sregolatezza”, Girotti raramente si è allontanato dai saldi valori ai quali era stato educato. E se proprio nelle scelte professionali ha dato prova di carattere anticonvenzionale, nella vita privata Girotti ha invece mantenuto esemplarmente equilibrio e semplicità, incarnando una sorta di regolarità nell’arte» (dall’introduzione di Roberto Liberatori, autore del libro Massimo Girotti: cronaca di un attore, Teke Editori - Centro Sperimentale di Cinematografia, 2015).

Mercoledì 18 febbraio

ore 17.00 Knock-out! Harlem di Carmine Gallone (1943, 90’)
«Girotti è Tommaso Rossi, un giovanotto di provincia dal volto paffuto e imberbe che si reca a New York per trovare il fratello, Nazzari, imprenditore edile felicemente integrato nella comunità italiana. Con una laurea in architettura nel cassetto si trasforma di punto in bianco in Tom Ross, pugile di successo, dopo aver steso con un destro un famoso pugile in un locale di Harlem. Con questo film Girotti torna ad essere utilizzato per le sue capacità atletiche in un film voluto per propaganda antiamericana e un po’ razzista» (Liberatori).

Ore 18.45 Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti (1946, 117’)
«La vicenda di un gruppo di partigiani che trova rifugio in un monastero di clausura, portandovi scompiglio e morte. […] Girotti se la vede con un personaggio tormentato anima e corpo, reso con toni di composta sofferenza. È il partigiano Monotti che, sdraiato su un lettino a cui lo costringe una ferita, riconosce nella badessa Elisa Cegani la donna amata in passato. Come il protagonista di una tragedia greca, consumato dai sensi di colpa, Girotti matura la consapevolezza di non poter sfuggire alle proprie responsabilità e con un pianto liberatorio implora il perdono della donna, confessando di averle ucciso il marito» (Liberatori).

Ore 21.00 Incontro con Arnaldo Catinari, Liliana Cavani, Massimo Guglielmi, Roberto Liberatori, Giuliano Montaldo
Nel corso dell’incontro verrà presentato il libro di Roberto Liberatori Massimo Girotti: cronaca di un attore moderato da Laura Delli Colli

a seguire In nome della legge di Pietro Germi (1949, 100’)
«Il personaggio del pretore Guido Schiavi inviato in Sicilia sembra un abito cucito su misura per lui: coraggioso e altruista, incrollabile di fronte alle minacce e alla corruzione… quello che si dice un personaggio attraente. La stessa struttura del film è capace di avvincere lo spettatore e farlo partecipe delle vicende del protagonista, che da una granitica risolutezza iniziale si ritrova contro tutti, ferito in un attentato, ma tuttavia capace di risollevarsi e rinnovare il proprio impegno contro il lassismo delle autorità e la violenza della mafia» (Liberatori). Ingresso gratuito


giovedì 19 febbraio
ore 17.00 Idoli controluce di Enzo Battaglia (1965, 95’)
«Tutto italiano è invece il film Idoli controluce di Enzo Battaglia, che, a metà strada tra fiction e documentario, porta sullo schermo un momento di crisi nella carriera del calciatore Enrique Omar Sivori, che segnerà il suo passaggio dalla Juventus al Napoli. Girotti vi interpreta il ruolo di uno scrittore mondano e fascinoso, completamente estraneo al calcio, incaricato dal suo editore di scrivere un libro sul fuoriclasse argentino. Il film è sicuramente originale per le riprese e il montaggio, ma non sa decidersi fino in fondo se intraprendere la strada dell’inchiesta sul mondo del pallone o abbracciare il racconto delle vicende private dello scrittore» (Liberatori).

Ore 19.00 Cronaca di un amore di Michelangelo Antonioni (1950, 102’)
«Cronaca di un amore mostra […] la consapevolezza che Girotti aveva della propria personalità cinematografica, della propria capacità di rendere credibili personaggi più complessi e inquietanti, uomini spinti da conflitti psicologici a vivere in uno stato di confusione. Come il personaggio di Guido Garroni, un uomo dalla debole volontà che per amore si lascia irretire da una donna ricca e annoiata nei suoi torbidi piani di morte. Un ruolo che ricorda, per qualche verso, quello viscontiano di Gino, proprio per la fragilità di carattere e per l’umanità e il bisogno di redenzione che lo rendono più accettabile rispetto alla figura della donna. Girotti si presenta nel film con un’immagine diversa, nell’insieme più matura ma anche meno seducente che in passato: i capelli bruni e composti, lo sguardo spento, l’abbigliamento cittadino a conferirgli un aspetto anonimo e conformista» (Liberatori).

Ore 21.00 Ossessione di Luchino Visconti (1943, 140’)
«Ossessione, che prende spunto dal romanzo americano Il postino suona sempre due volte di James M. Cain, racconta la storia di due amanti diabolici che progettano un omicidio, ambientata nella provincia tra Ancona e Ferrara. […] L’immagine di Girotti era legata a quella di eroe positivo, dal fisico forte e gentile e l’animo virtuoso. Per il pubblico è Arminio, o il pilota Rossati, riconoscibile per gli occhi chiari e la corporatura da gladiatore moderno, piuttosto che per la qualità delle interpretazioni. Visconti offre a Girotti il destro per cambiare corso alla carriera, e lui si abbandona fiducioso nelle mani dell’amico» (Liberatori).

Venerdì 20 febbraio

ore 17.00 Scusi, facciamo l’amore di Vittorio Caprioli (1968, 92’)
«La stessa cosa accade di lì a poco a Girotti nel film Scusi, facciamo l’amore, diretto da Vittorio Caprioli, con il suo ruolo del “signorino” Alberto Tassi, un attempato gigolò che ha costruito la propria fortuna come amante di ricche e annoiate signore della borghesia milanese. Nella sequenza in cui dà consigli sulle migliori piazze in cui trovare una sistemazione al più giovane Pierre Clementi, Caprioli fa quello che Visconti aveva fatto con la Mangano [ne La strega bruciata viva, episodio de Le streghe, n.d.r.]: prende Girotti, immagine di bellezza e mascolinità per oltre due decenni, e lo mostra sfatto, preoccupato di chili che si prendono e di capelli che si perdono, alle prese con massaggi e attività fisica per combattere i segni del tempo ed essere competitivi sul mercato» (Liberatori).

Ore 19.00 Il mio corpo con rabbia di Roberto Natale (1972, 80’)
«In Il mio corpo con rabbia di Roberto Natale il suo ruolo è quello di Gabriele, il padre di una disadattata con turbe affettive. La ragazza è ossessionata dalla figura del padre: lo accusa di essere anaffettivo e di considerarla un oggetto da collocare in società, e si adopera per distruggere la sua felicità, il suo mondo di certezze. Senza, però, riuscirci, né ispirare alcuna simpatia nello spettatore. Al contrario, è proprio il personaggio interpretato da Girotti a uscire vincente dallo scontro generazionale messo in scena dalla pellicola. Portatore di valori, solido e saggio, ha la meglio su tutti i protagonisti. Ancora una volta Girotti era riuscito a mettere le mani su un personaggio che non lo condannava in secondo piano, ma aveva una funzione ben precisa nell’insieme. Il regista Roberto Natale, nel rendere il pensiero fisso della ragazza sul padre, mantiene presente l’immagine dell’attore dall’inizio alla fine del film, con inquadrature che scrutano i suoi movimenti e ogni espressione del volto» (Liberatori).

Ore 21.00 Ossessione di sangue di Daniel Tinayre (1959, 107’)
«Pressoché sconosciuta è anche la sua esperienza di lavoro in Argentina nel 1957, dove Girotti è il protagonista di una nuova versione cinematografica di La bestia umana di Émile Zola, nel ruolo che prima di lui era stato di Jean Gabin nel 1938, diretto da Jean Renoir, e poi di Glenn Ford pochi anni prima, nel ’54, per la regia di Fritz Lang. A stringere i contatti con Girotti è l’attrice protagonista del film, Ana Maria Lynch, considerata una delle donne più belle del cinema argentino, durante un viaggio in Italia alla ricerca dell’interprete giusto. […] La storia è quella di Pedro Sandoval, un macchinista ferroviario che vive una vita segreta e febbrile. Dietro l’apparenza dei modi gentili, da grande lavoratore, Pedro nasconde con tormento la sua incapacità di relazionarsi con le donne, se non in maniera brutale. L’uomo viene trascinato in un torbido piano criminale da un superiore violento e cinico e dalla bella moglie di lui, Ana Maria Lynch, per la quale perde la testa» (Liberatori).

Sabato 21 febbraio

ore 16.30 La strada lunga un anno di Giuseppe De Santis (1958, 143’)
«Un affresco sul mondo contadino che il regista è costretto a girare nell’ex Jugoslavia, perché boicottato dai produttori a causa della sua militanza politica e del suo rifiuto di portare i contenuti verso quelli più evasivi della commedia di costume. La strada lunga un anno racconta, infatti, la storia della rocambolesca costruzione di una strada da parte di vigorosi contadini che si ribellano a un destino di povertà. […] Per il ruolo di Chiacchiera, un simpatico anarchico che affronta la vita con allegria, De Santis vuole con fermezza l’amico Girotti, che riesce a valorizzare in un registro recitativo insolito, utilizzando l’espediente di renderlo goffo e adorabile allo stesso tempo. […] Girotti si presenta sullo schermo, fin dalla prima inquadratura, completamente diverso e insolito. Mai era apparso così smagrito e imbruttito in nessun film, tanto da confondersi, con le sue ossa aguzze e la barba scura e incolta, con le fisionomie meno raffinate o sgraziate delle comparse slave, con impressi nel volto i segni della povertà» (Liberatori).

Ore 19.00 L’Agnese va a morire di Giuliano Montaldo (1976, 134’)
«Tra i primi registi a raccogliere la sua aspirazione a più dignitose produzioni è Giuliano Montaldo che lo sceglie per il ruolo del partigiano Palita in L’Agnese va a morire. In realtà Montaldo arriva a lui con un certo imbarazzo. La parte è piccola, ha paura di non far cosa gradita all’attore di Visconti e Pasolini con un ruolo marginale. Ma Girotti accetta, con sua sorpresa, e generosamente, sapendo che il film conta su un budget modesto. Altri avevano tentato, senza riuscirci, di portare sullo schermo il libro di Renata Viganò, il racconto del risentimento popolare verso l’offesa dell’invasione nazista. […] Il personaggio di Palita riporta Girotti tra il fango alto e vischioso della pianura padana, in quegli stessi luoghi dove il Gino Costa di Ossessione aveva vissuto la sua cruenta storia d’amore. Montaldo lo cita figurativamente quando l’attore, più vecchio e più saggio, appare sullo schermo con un vecchio Borsalino in testa» (Liberatori).

Ore 21.30 Interno berlinese di Liliana Cavani (1985, 121’)
«Nel cinema, invece, Girotti fornisce una replica perfetta dell’immagine di uomo elegante e sofisticato per il film Interno berlinese di Liliana Cavani. La regista di Portiere di notte e La pelle aveva ricostruito l’ambiente sociale delle ambasciate e dell’aristocrazia del capitale alla vigilia della seconda guerra mondiale, per raccontare la storia di uno scandalo che travolge la vita di una giovane coppia quando, nel suo ménage, compare una bella giapponese che finisce per sedurli. […] Il rapporto instaurato con la Cavani è ottimo: l’attore si sente apprezzato e benvoluto anche se il suo ruolo nel film, quello di un ufficiale della Wehrmacht, vittima del pesante rigore moralistico della Germania nazista, è minimo. Accarezzato dalla macchina da presa, Girotti fa la sua piccola apparizione nella sequenza della festa in cui viene consegnato, assieme al giovane amante, nelle mani del capo della polizia come un perfetto capro espiatorio. Lo smoking impec...

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