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Nel programma del Cinema Trevi di questa ultima settimana di febbraio troviamo incontri con: Lilficando il regista friulano come un professionista capace di mantenersi equidistante tra le regole dei generi e l’aspirazione autoriale, Quién sabe? Si dimostra film politico ad un doppio livello: non solo in quanto tematicamente votato ad una precisa presa di posizione ideologica, ma anche perché film fatto politicamente, ossia attraverso una forma filmica costantemente pensata e interrogata nella sua organicità rispetto ai contenuti veicolati» (Uva). Versione restaurata e integrale a cura della Cineteca Nazionale per Venezia Classic, sezione della Mostra del Cinema di Venezia 2013.

ore 21.00 incontro con Nino Celeste, Elio Matarazzo, Christian Uva, Vito Zagarrio moderato da Emiliano Morreale
nel corso dell’incontro verrà presentato il volume, a cura di Christian Uva, "Damiano Damiani. Politica di un autore"

a seguire Io ho paura di Damiano Damiani (1977, 120’)
«Il brigadiere Ludovico Graziano (Volonté), protagonista del film, è un poliziotto atipico fino a quel momento per il cinema italiano, colonizzato principalmente da ispettori e magistrati. Bassa forza di polizia, poco alfabetizzato, senza un orientamento politico definito, si trova a contestare i superiori che secondo lui mandano gli agenti a farsi ammazzare senza protezione alcuna nella lotta alla malavita comune e al terrorismo. Per calmare le acque ed evitare sanzioni disciplinari, Graziano viene assegnato dal capitano La Rosa come scorta al giudice Cancedda, interpretato dall’attore bergmaniano Erland Josephson. Il magistrato in un primo tempo rifiuta la scorta: “Se qualcuno ci spara addosso in un certo senso vuol dire che siamo già morti” dice ad un perplesso Graziano. Poi il magistrato, colpito dall’acume e dall’umanità di questo poliziotto del sud, si convince ad avere la protezione di Stato. L’agente capisce ben presto i pericoli che Cancedda sta correndo, a mano a mano che scopre verità che scottano dietro i depistaggi e gli omicidi su cui il giudice deve fare il suo rapporto. […]. La domanda che pone la trama di Io ho paura è: fino a dove si è disposti ad arrivare per fare il proprio dovere? Ma anche: fin dove si deve arrivare per non farlo fino in fondo quando si fa parte di un sistema che non si riesce a controllare?» (Gargiulo).
Ingresso gratuito


mercoledì 25 febbraio

Parma e il cinema

Il toccante documentario Poltrone rosse. Parma e il cinema offre l’occasione per riflettere su una città particolare come Parma. Parma è stata una delle prime città a presentare i film dei fratelli Lumière. A Parma videro la luce due importanti riviste cinematografiche: «La critica cinematografica» e «Sequenze», che ebbero vita breve, causa problemi economici, ma riuscirono ad apportare un notevole prestigio alla città. A Parma furono travolti dalla passione del cinema il grande critico Pietro Bianchi, Attilio Bertolucci e i figli Bernardo e Giuseppe, Luigi Malerba, Enrico Medioli, Franco Nero, Vittorio Storaro, nonché il regista stesso del presente documentario, Francesco Barilli. Parma è poi la città di Verdi, le cui musiche sono legate a molti film. L’effetto nostalgia è ancor più drammatico se confrontato con la realtà attuale, segnata dalla chiusura di storiche sale.

Ore 17.00 La parmigiana di Antonio Pietrangeli (1963, 112’)
«La giovane Dora (Spaak), dopo la prima esperienza con un seminarista, accumula avventure amorose: incapace di rinchiudersi nella mediocre normalità del matrimonio con il fidanzato questurino (Buzzanca) e delusa dall’altrettanto mediocre opportunismo dell’amato fotografo (Manfredi), sceglie una vita di rischiosa solitudine. Con un’efficace narrazione incastonata di flashback, Pietrangeli adatta il romanzo di Bruna Piatti e traccia, senza moralismi e con molta ironia, un quadro malinconico e graffiante della meschinità e degli egoismi piccolo-borghesi che impregnano la provincia: al centro spicca il personaggio emblematico di Dora, segnata da una spregiudicatezza che confina con l’indifferenza, ma che se accetta i compromessi fisici con l’universo maschile, riesce comunque a rispettare “un suo codice etico, più istintuale che morale” (Detassis)» (Mereghetti).

Ore 19.00 Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci (1964, 111’)
Il giovane Fabrizio, rampollo di un’agiata famiglia parmigiana, rinuncia a sposare la fidanzata per seguire le sue convinzioni politiche e dopo la morte del suo amico Agostino si lega sentimentalmente a una giovane zia. La sua spinta rivoluzionaria a poco a poco si spegne. «È importante guardare in faccia la propria ambiguità e cercare di superarla. Sono ambiguo perché sono un borghese, come Fabrizio nel film, e io faccio dei film per allontanare dei pericoli, delle paure che ho, paura della debolezza, della viltà. Perché io esco da una borghesia terribile perché è astutissima, perché ha previsto tutto e perché accoglie a braccia aperte il realismo e il comunismo. E questo liberalismo è evidentemente la maschera della sua essenziale ipocrisia» (Bertolucci). Da segnalare la presenza di Morando Morandini nel ruolo di Cesare. Per gentile concessione di RIPLEY’S FILM ore 21.00 incontro con Lorenzo Baraldi, Francesco Barilli, Michele Guerra, Franco Nero moderato da Marco Giusti a seguire Poltrone rosse. Parma e il cinema di Francesco Barilli (2014, 90’) Poltrone rosse. Parma e il cinema racconta il periodo floridissimo dal punto di vista cinematografico e ormai finito da tempo che ha caratterizzato per un periodo Parma, quando registi famosi si trovavano nella città di provincia per girare i propri film. «Ho dedicato questo lavoro ai cinquant’anni del primo film che mi ha visto protagonista: Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci. Ho voluto raccontare la storia stupenda che ha coinvolto me, tanti cari amici e la mia città, Parma. Quasi un lavoro di “archeologia cinematografica” alla ricerca di reperti rari e sconosciuti al grande pubblico. Una lunga e assidua ricerca durata anni che mi ha assorbito totalmente ma che mi ha ripagato facendomi rivivere emozioni dimenticate» (Barilli).
Ingresso gratuito


26-28 febbraio

Paola Pitagora tra tradizione e contestazione

«Cominciavo a realizzare che, senza l’ombra di una raccomandazione, la Rai puntava su me e Nino Castelnuovo come protagonisti. Mi trovavo in mezzo a una dicotomia nella mia professione e nell’immagine: I pugni in tasca, eversiva opera presessantottina e Manzoni, lo scrittore cattolico croce di tutti gli studenti». Così scriveva Paola Pitagora nel suo magnifico memoir autobiografico Fiato d’artista. Dieci anni a Piazza del Popolo (Sellerio, 2001), descrivendo il suo stato d’animo alla notizia che era stata scelta a incarnare l’ormai leggendaria Lucia Mondella nel più atteso sceneggiato italiano, I promessi sposi. Paola Pitagora è l’antidiva per eccellenza. Il suo tratto distintivo è l’eclettismo, come le (poche) vere attrici a 360 gradi. Paola si è dimostrata inoltre un’ottima scrittrice, testimone sensibile e attenta del proprio tempo (in primis, degli artisti della Scuola Romana). Anche in televisione, come in teatro, ha dimostrato di essere un’artista “trasversale” di tutto rispetto: da A come Andromeda a Incantesimo.
Rassegna in collaborazione con Rai Teche

giovedì 26 febbraio

ore 17.00 Il caso Lafarge di Marco Leto (1973, 222’)
La giovane e bella Madame Lafarge (Paola Pitagora), neo sposa del conte Lafarge (Cesare Barbetti), è disprezzata dalla suocera (Evi Maltagliati) e dalla cognata (Claudia Caminito), che sono le prime ad accusarla di omicidio quando, dopo una lunga malattia, Charles muore e sono rinvenute nel suo corpo tracce di arsenico. Marie Cappelle Lafarge (Paola Pitagora) è così imputata in un processo di grande risonanza sull’opinione pubblica, pieno di colpi di scena. Per gentile concessione di Rai Teche ore 21.00 incontro con Marco Bellocchio, Angelo Guglielmi, Paola Pitagora moderato da Andrea Schiavi a seguire Dialogo di Eros Macchi (1971, 45’) «La premessa […] è che faccio un mestiere imprevedibile, in cui si lavora molto con l’inconscio. Ti faccio un esempio emblematico: un’opera di Natalia Ginzburg che recitai con Renzo Montagnani per la televisione, negli anni settanta. C’era un’antipatia reciproca con Montagnani, tant’è che il regista Eros Macchi si rivolgeva o all’uno o all’altro, perché tra di noi non c’era nessun rapporto. Ebbene, incredibile a dirsi, alla fine è venuta fuori la cosa più bella che ho fatto in tv. L’avrei abbracciato Renzo, si era creata alfine una grande complicità. Quindi vedi che è un mestiere misterioso: fai una cosa con la mano sinistra, ma poi inspiegabilmente ti resta nel cuore, senti che è venuta veramente bene» (Pitagora).
Per gentile concessione Rai Teche - Giornata a ingresso gratuito


venerdì 27 febbraio

ore 17.00 I promessi sposi di Sandro Bolchi (1967, prima puntata, 67’)
«Venni chiamata dalla Rai a fare il provino, mentre ero ancora in scena al Sistina, con Ciao Rudy, con la testa piena delle musiche scatenate di Armando Trovaioli. Mi sentivo talmente lontana dal ruolo di Lucia Mondella, che avrebbe inevitabilmente segnato un’identificazione con l’attrice che l’avrebbe interpretata, da presentarmi al provino scettica e un po’ in antitesi alla Lucia che immaginavo. […] Quando mi comunicarono che avrei interpretato quella parte, restai attonita, corsi in teatro nel camerino di Paola Borboni, e le chiesi un parere: “Bacia la Madonna!” mi ordinò porgendomi una medaglietta che portava al collo, “Hai una palla di fuoco tra le mani, giocatela bene”» (Pitagora).
Per gentile concessione di Rai Teche - Ingresso gratuito

ore 18.15 Guido Gozzano di Gianni Casalino (1983, 50’)
Sceneggiato con Roberto Herlitzka e Paola Pitagora sul celebre poeta crepuscolare piemontese.
Per gentile concessione di Rai Teche - Ingresso gratuito

ore 19.15 Tenderly di Franco Brusati (1968, 99’)
«Jolanda e Franco, divisi da una cronica incomprensione, si rivedono ogni tanto finché decidono di sposarsi. All’ultimo minuto lei cambia idea. Si ritrovano anni dopo. F. Brusati resuscita la commedia sofisticata americana, aggiornandola alla società italiana degli ultimi anni ’60» (Morandini). Con Virna Lisi ,George Segal e Paola Pitagora.
Ingresso gratuito

ore 21.00 Fermate il mondo… voglio scendere! Di Giancarlo Cobelli (1968, 90’)
La fantasia al potere. Alcuni giovani contestatori vivono in un surreale appartamento. Uno di loro tenta con successo la strada della televisione, venendo stritolato dagli ingranaggi del potere. Il poliedrico talento di Cobelli, le musiche di Piccioni, la fotografia di Dario Di Palma, il montaggio di Franco Arcalli, un inedito Buzzanca e un’incredibile Paola Pitagora per uno dei più bizzarri esordi del cinema italiano.


Sabato 28 febbraio

ore 17.00 Senza sapere niente di lei di Luigi Comencini (1969, 97’)
Maria Mancuso, anziana madre di cinque figli, muore improvvisamente poche ore prima della scadenza della seconda rata di una sua altissima assicurazione sulla vita. Uno dei funzionari della compagnia assicuratrice, il giovane avvocato Nanni Brà, si assume il compito di indagare su quella morte piuttosto misteriosa e a tal fine si mette in contatto con i figli della scomparsa, a cominciare dalla bella Cinzia, della quale non esita a diventare l’amante pur di ottenere qualche utile informazione. A poco a poco, però, un amore autentico si sostituisce alla finzione e Nanni rivela lealmente alla ragazza le vere ragioni per le quali all’inizio aveva cercato la sua compagnia. «Sul filo assai delicato di un intreccio “giallo” […] sono contemporaneamente in ballo la verità sulla morte di un’anziana signora e la verità di un amore. […] Anche in questo caso bisogna dire che Comencini se l’è cavata in modo senz’altro egregio, con il merito, oltre tutto, di aver saputo guidare Paola Pitagora in un’eccellente interpretazione, ora di cuore ora di testa, ambigua cioè come appunto la parte comporta» (Meccoli). Nastro d’argento a Paola Pitagora come miglior attrice protagonista.

Ore 19.00 I pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965, 109’)
«Mi era stato recapitato un copione, una sceneggiatura che alla prima lettura pareva sconcertante, una cupa storia di famiglia ambientata in provincia, con particolari horror. L’autore era un esordiente che ne avrebbe curato anche la regia, Marco Bellocchio. Era un film a bassissimo costo, solo un rimborso spese per il periodo di lavorazione che avveniva a Bobbio […]; ero indecisa se accettare, il bisogno pecuniario era sempre cronico, stavo per scegliere una commedia per la televisione […]. Renato [Mambor, n.d.r.] volle leggere quel copione, titolo provvisorio Igiene famigliare poi divenuto I pugni in tasca, e mi disse con aria noncurante: “Ho l’impressione che sia una storia più interessante di quello che sembra”. […] Bellocchio sul set aveva una sicurezza inaspettata, sapeva quello che voleva e dirigeva gli attori con la gioia e l’urgenza di un bambino che organizza il gioco sospirato. […] Non immaginavo, e penso nessuno di noi avvertisse che I pugni in tasca avrebbe avuto un effetto dirompente nel cinema italiano, addirittura anticipatore della rivolta studentesca del ’68» (Pitagora).

Ore 21.00 Tutti gli anni, una volta l’anno di Gianfrancesco Lazotti (1994, 88’)
«Un film-commedia dal retrogusto amaro, scandito a lungo da dialoghi spiritosissimi, che riesce ad amputarsi della solita griffe giovanottistica. Con un taglio tutto teatrale, ma non in senso provincial-claustrofobico bensì all’americana, alla Neil Simon, si racconta di una rimpatriata tra vecchi amici […]che danno vita ad un concerto di sconfitte e rimpianti, meschinità e buffonerie, velleità ed incoscienze che sarebbe riduttivo definire senile. […] Ma resta la sostanza di uno spettacolo insolito, di gran ritmo, penetrante senza risultare didascalico, ammiccante senza risultare volgare, che gestisce un cast di esemplari professionisti, molti dei quali incredibilmente dimenticati o trascurati dal nostro cinema» (Caprara). Con Giorgio Albertazzi, Paolo Bonacelli, Lando Buzzanca, Paolo Ferrari, Vittorio Gassman, Paola Pitagora, Giovanna Ralli, Jean Rochefort....

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